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CHI SONO

Per me dipingere è stato un ascolto dell'inconscio, una discesa interiore nel profondo del mio "io". Dipingere è per me una sorta di terapia (ossia arte come tregua spirituale dalle difficoltà della vita). La mia storia mi ha portata ad utilizzare materiali naturali, poveri, che con il colore acquistano consistenza tangibile e corporea ossia unisco la pittura alla fisicità dei materiali. Il tatto come senso che si unisce alla vista: quando guardo un mio quadro mi viene istintivo toccarlo. Materia, quindi, piena di forza espressiva ed evocativa che cerca di comunicare una realtà interiore. Nei miei quadri si può notare un movimento incontrollato, libero che cerca di dare forma all'informe. Quando creo, oltre che cercare armonia nelle tinte, cerco di valorizzare anche la superficie in base a quello che voglio rappresentare. Per me l'arte è istinto, impulso, emozione e sentimento. L'arte si è intrecciata con la mia vita ed è diventata qualcosa di intimo che cerco di far rivivere negli occhi degli altri. Penso che chi guardi i miei quadri non debba tanto riconoscere ciò che vi è rappresentato, quanto cogliere l'emozione dell'artista.

Dicono di me

"Guardare la vita in faccia. E conoscerla per quello che è.  Al fine, conoscerla, amarla per quello che è. E poi metterla da parte. Per sempre gli anni che abbiamo trascorso… Per sempre gli anni… Per sempre l'amore… Per sempre le ore…”. Con queste parole si conclude il film Le ore di Stephen Daldry, tratto dal romanzo di Michael Cunningham. Il titolo del libro e del film è quello che avrebbe dovuto avere il romanzo della Woolf, poi intitolato “La signora Dalloway”. Durante un incontro a casa di Alessandra Renzi (in arte "Sassa"), così british nei suoi innumerevoli e accoglienti piani, forse anche grazie alla luce tersa di un mattino d'estate, ho ritrovato nelle sue opere gli stessi stati d'animo evocati dalla pellicola e dal romanzo: la perdita, la rabbia, la solitudine, ma anche la gioia, l'entusiasmo, l'amore per i propri cari. Come il regista e lo scrittore hanno indagato le emozioni dei diversi personaggi, così Sassa dà forma e sostanza a quelle che scandiscono le ore della sua esistenza. Innumerevoli stati d'animo, che denotano una personalità complessa e sfaccettata, sono i protagonisti di tavole e tele, a volte in contemporanea - poiché il mutare di uno stato d'animo nell'altro è talora repentino -, a volte protagonisti solinghi, sempre orchestrati con abilità ed eleganza. Ogni quadro è un gioco di pennellate materiche amalgamate a materiali poveri, con un effetto volutamente "scultoreo" che annulla il limite stesso della pittura: la bidimensionalità. Reti americane per imballare le zolle, sacchi di caffè e sementi, corde e spaghi, fili metallici, cortecce, cartoni e tessuti creano una terza dimensione, che induce l'osservatore a toccare l'opera, in una esperienza non solo visiva ma anche tattile. Le ampie dimensioni dei quadri rivelano poi il desiderio di trasmettere un messaggio preciso, pur attraverso un linguaggio astratto, che non rinnega però alcune soluzioni figurative, sebbene assai stilizzate. Un utilizzo dei colori, dei materiali e del segno fortemente connotato in chiave espressionista, con stilemi che accentuano i valori emozionali ed espressivi dell'opera stessa alla ricerca non della descrizione mimetica della realtà quanto della corrispondenza con il modo di sentire dell'artista nell'atto stesso di creare. Opere scaturite dal bisogno di esprimere le proprie emozioni, sotto l'impulso di un’ispirazione libera di esplorare nuove soluzioni formali e cromatiche, in un percorso artistico che è stato ed è anche terapeutico. "La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comprati lei”, così inizia il romanzo di Virginia Woolf, uno degli incipit più straordinari della letteratura occidentale del 900. In una semplice frase è condensato il desiderio di prendere la propria vita in mano e viverla sino in fondo, almeno per un giorno, scegliendo l'essenza dei colori che ne faranno da sfondo ideale. Come un bouquet di fiori, Sassa, amante della natura, ci offre quegli stati d'animo che sono i fondali della sua esistenza e nei quali possiamo ritrovare un po' di noi stessi. Diversamente da quelli della signora Dalloway, i fiori di Sassa però non appassiranno mai…

Alessandra Renzi ha esordito tardi nell'arte o, forse, non è stato un esordio. Piuttosto un ritrovare se stessa nell'espressione artistica. Negli ultimi anni per lei è stato un crescendo emotivo: dalle lezioni al "Gazzola" alle prime collettive anche fuori provincia, finalmente la prima personale (giugno 2017), adesso una seconda. Nell'ultima produzione approfondisce ancora, né rinnega le idealità, né comprime l'entusiasmo iniziali. Sdogana anzi la fantasia che viaggia e volteggia altissima mentre la matericità (sempre tecniche miste e materiali vari) cresce, crepita e si emancipa. Esplora diverse dimensioni, non c'è nelle sue opere un solo registro, ma una notevole vivacità inventiva. Se il "villaggio globale" della fortunata metafora ha significato molto, oggi nell'era Internettiana viviamo una realtà reticolare e interattiva. Per qualsiasi creativo è allora difficile proporre novità artistiche, raggiungere un equilibrio visivo e percettivo per l'inflazione dell'immagine. Alessandra avverte una precisa responsabilità, proporre cioè qualcosa di inedito assecondando le insorgenze interiori, spesso in bilico tra fortuna e realizzabilità delle sue concezioni. Le sue opere non hanno un unico filone, non lo cercano, nemmeno lo sfiorano, sembrano talora contraddirsi. I critici di solito consigliano di concentrarsi su poche tematiche, approfondire ambiti ben definiti. Ma questo non vale per l'artista piacentina perché sbizzarrirsi è costitutivo della sua personalità (Vita, trittico), della sua ricchezza interiore (Innamoramento, trittico). Categorie interpretative assodate nella cultura generalista - Astrattismo, Informale Arte Povera… -  non hanno qui immediata riconoscibilità. Soltanto indicano una tendenza (Mappa), identificano alcune opere, ne delimitano altre tra l'organico (Cellule) e il concettuale (Rewind; Futura, dittico). Nelle sue composizioni oggetti e simboli affievoliscono la naturale connotazione per diventare un "altro da sé" denso di valenze (Giulia) e risonanze interiori (Giorni nuovi, trittico). Aggregati o manipolati in una sovrapposizione sin dall'inizio puramente casuale (Danza), oggetti e simboli diventano simulacro del mondo di Alessandra (Nasci, ami, vivi, polittico). Cioè un aspetto della sua "stanza", uno spaccato della sua propensione artistica, una dimensione quasi segreta (Cassetti di memoria) che il pubblico può in parte comprendere (Vita e forme; Parole non dette). A volte parlare di suggestione è generico, le sue nuove composizioni riflettono la realtà esterna (Argine; On the road), anzi la ricreano passando per la sensibilità (Comfort Zone) prima e per la manualità poi (Movie; Vita e forma). L'arte è un potente mezzo tanto illusionistico (Afrodite) quanto alla fine amabile per ridisegnare la propria geografia interiore (In fondo all'anima), la trama delle emozioni (Stati d’animo). E la memoria di contesti o situazioni non è e non può essere una fedele citazione, piuttosto una mediazione-meditazione per costruire nuovi significati (Watussi; Buen retiro). Ci sono schemi precostruiti nell'approccio di Alessandra? Miti dogmi o input auto-evidenti? No, persegue soltanto il rigore dell'intuito, sperimenta la fattibilità - come traduzione concreta di certi stati d'animo. Rincorre una propria weltanschauung - visione del mondo cioè - e nel contesto piacentino esprime valori originali lontano dal mainstream dominante. La sua narrazione artistica è una sintesi - forse revisione o reinterpretazione - di ready-made, anche di collage. È comunque un crossover che recupera istanze astratte, informali e post-concettuali e le personalizza fra rigurgiti dell'Arte Povera e qualche escursione nella Process Art.

Fabio Bianchi

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